Erith Jaffe-Berg

Leone De’Sommi,
“Magen Nashim, In difesa delle donne”

In questo articolo propongo la prima traduzione in italiano del poema bilingue “In Difesa delle Donne,” scritto da Leone De’ Sommi Portaleone nel 1556. Questo poema è di eccezionale importanza grazie all’originalità della sua struttura stilistica, in quanto unisce in un unico testo la lingua ebraica e quella italiana. Dal punto di vista della composizione, questo poema crea un’esperienza unica per il lettore grazie alla combinazione della natura della lingua ebraica, scritta da destra a sinistra, con quella italiana, scritta da sinistra a destra. In questo modo il lettore viene catturato dalla fluidità dell’espressione, da un processo di lettura che si snoda senza interruzione da sinistra a destra e da destra a sinistra nel verso successivo, e così via. Questa sensazione non è facilmente riproducibile nella lettura di un poema monolingue, nel quale è necessario iniziare la lettura ogni volta con un nuovo verso partendo da sinistra. Poiché questa è una delle prime pubblicazioni di De’ Sommi, le cui opere furono in seguito riconosciute in ugual misura sia dalla corte mantovana che dalla comunità ebraica, “In Difesa delle Donne” può servire come chiave per comprendere l’opinione che poteva avere delle donne un critico teatrale, all’interno dei circoli cortesi italiani, e come probabilmente questa opinione potesse influenzare il contributo femminile al mondo del teatro. In questo periodo particolarmente importante per le donne, durante il quale cominciavano ad apparire le prime attrici sui palcoscenici italiani, si assisteva a dibattiti piuttosto accesi sulla questione dei meriti da attribuire alle donne, sul loro diritto ad esprimersi liberamente, sia dal punto di vista fisico che verbale, e sulla loro possibile influenza sugli uomini. In questo poema, ancor più che in altri scritti, De’ Sommi si mostra profondamente convinto della bontà e dell’abilità delle donne. Poiché questo è uno dei primi esempi di opere sul tema delle donne pubblicato da uno dei membri più influenti della corte mantovana, essa stessa epicentro di attività culturali, il poema di De’ Sommi riveste un ruolo importante nell’analisi di come i moderni dibattiti a proposito delle donne abbiano contribuito ai cambiamenti culturali.

Leone De’ Sommi Portaleone (1527-1592),1conosciuto anche come Leone De’ Sommi, ebreo, è noto agli storici del teatro e agli studiosi di storia ebraica per i suoi contributi alla produzione culturale della Mantova rinascimentale. De’ Sommi è l’autore del primo trattato che affronta in modo sistematico il tema della regia, Quattro dialoghi in materia di rappresentazioni sceniche (1565 circa). Scritto in forma di dialogo, questo trattato offre suggerimenti sugli aspetti tecnici della produzione teatrale. Oltre a fornire questo contributo al discorso sul teatro, De’ Sommi ha scritto quella che viene considerata la prima opera teatrale ebraica, Tsahot B’dihuta d’Kiddushin (Una Commedia sul Fidanzamento).2L’opera, che affronta il tema della tradizione matrimoniale della comunità ebraica, lascia intendere il doppio ruolo di De’ Sommi come leader nella comunità ebraica e come intellettuale all’interno della più ampia élite culturale mantovana. Tuttavia, nonostante la sua importanza all’interno dei circoli di corte, De’ Sommi non fu capace di integrare completamente questi due ruoli e fu ostacolato nel suo desiderio di stabilire un teatro popolare indipendente a Mantova.3

Le donne e la loro apparizione sul palcoscenico fu un’area nella quale De’ Sommi riuscì a coniugare i suoi precetti ebraici e le sue brillanti intuizioni sul teatro. Nel 1564 è ormai riconosciuto che le donne sono divenute parte della produzione teatrale della Commedia dell’Arte in gran parte della penisola, in particolare nelle regioni del nord. L’introduzione di attrici professioniste era ostacolata da considerazioni misogine sulla “degradante” influenza della Commedia dell’Arte. In questo senso, è interessante considerare le opinioni di De’ Sommi sulle donne e il loro aspetto pubblico e professionale, in quanto rivelano molto non solo sulla comunità ebraica italiana ma anche sullo stile di vita dell’epoca. Infatti, nonostante De’ Sommi, in Quattro dialoghi in materia di rappresentazioni sceniche, apprezzasse l’abilità di attrici come Flaminia, era contrario al coinvolgimento delle donne nella produzione teatrale, in particolar modo delle donne nubili della classe media.4 La sua principale obiezione all’apparizione in scena delle donne (non fa menzione delle donne commediografe o drammaturghe) deriva dalla sua preoccupazione per la loro sicurezza. Di conseguenza, probabilmente l’obiezione di De’ Sommi contro la presenza in scena delle donne nubili deriva più dalla sua mancanza di stima per gli uomini del pubblico che dal rifiuto delle donne sul palcoscenico.5

Qui vediamo come nonostante De’ Sommi sia molto colpito dai successi raggiunti dalle attrici e conquistato dal loro talento e corporeità femminile, non si sbilancia sulle implicazioni che questo potesse avere per il teatro, che lui considera una forma d’arte creata per edificare ed educare oltre che per intrattenere. Il talento e l’abilità delle donne appaiono incontestabili per De’ Sommi; ma sembra preoccupato del contesto nel quale devono esibirsi, davanti ad un pubblico composto da uomini e donne.

 

Bene fecero dunque gli antichi a torsi per legge di non lassar uscire, nelle comedie, una vergine in scena, acciò che con tale essempio non si desse baldanza alle figliole de i cittadini (le quali hanno da star ritiratissime) d’uscir di casa o di favellare in publico; il che non si vieta così ad una figliuola d’un principe, però che si ha da giudicare che pochi siano quelli che, temerarii, ardissero tentar l’onor di una tale, atteso che egli è cosa chiara che dove da principio manca la speranza, non vi può fare le sue radici amore.6

 

È probabilmente la malizia dei discorsi femminili, l’inclinazione delle donne ai pettegolezzi e i loro effetti deleteri sugli uomini (padri e mariti) che induce De’ Sommi a raccomandare cautela nel permettere libertà di parola alle donne. Allo stesso tempo, il rischio che le donne siano vittime dei pettegolezzi e del disonore da parte del pubblico alla fine spinge De’ Sommi a scoraggiare “le figlie dei cittadini” ad apparire sul palcoscenico. Possiamo solo speculare su quanto queste idee possano essere state dettate dal desiderio di De’ Sommi di fondare un teatro professionale ebraico, e ipotizzare quali potessero essere le sue preoccupazioni circa la presenza delle donne in quel contesto. In ogni caso, è chiaro che il fulcro della sua obiezione si basa su una critica indiretta del comportamento maschile e su come esso condizioni l’accoglienza delle donne in pubblico.

Lo stesso processo logico è evidente nel poema “Magen Nashim,” scritto da De’ Sommi nel 1556 e che celebra i successi delle donne. De’ Sommi dedica la prima parte del poema alle prevaricazioni perpetrate dagli uomini nei confronti delle donne. Quindi illustra le virtù femminili raccontando di donne greche, romane ed ebree di grande valore.7 Termina il poema concentrando la sua attenzione sulla donna amata, il cui nome non viene rivelato. La protezione di De’ Sommi nei confronti di questa donna richiama alla mente la cautela dell’autore sull’apparizione delle donne sul palcoscenico. Nel poema, la descrizione dell’amore risente anche dell’atteggiamento favorevole nei confronti delle donne espresso in Proverbi (Mishle), che insieme a Cantico dei Cantici (Shir ha Shirim) è il principale punto di riferimento per la difesa delle posizioni dell’autore.

De’ Sommi appartiene ad una lunga tradizione di autori ebrei che scrivono sul tema delle donne.8 Nella sua poetica prefazione a “Magen Nashim,” De’ Sommi spiega che fu spinto a scrivere in risposta ad un anonimo poema dispregiativo, “Davar b’Ito” (Una Cosa a suo Tempo) (1556).9 In “Magen Nashim” De’ Sommi mette sullo stesso piano la misoginia e la pazzia perché sono entrambe illogiche e irrazionali. La misoginia è irrazionale perché implica un comportamento ossessivo e deviato, ed è illogica in quanto sono le donne che danno la vita agli uomini.10

De’ Sommi organizza il poema in una sequenza ripetuta di 50 stanze, ognuna composta di 8 versi. In ogni stanza, il primo verso è in ebraico, il secondo in italiano, il terzo in ebraico, il quarto e il quinto in italiano, il sesto e il settimo in ebraico e l’ottavo in italiano (ABABBAAB). Lo schema della rima è il seguente: ABABBCCD. Nella mia traduzione non ho mantenuto la rima o la metrica dell’originale, preferendo invece rimanere fedele quanto più possibile alle parole di De’ Sommi.11

La natura bilingue del poema, che ho evidenziato visivamente nella mia traduzione scrivendo la parte in ebraico in corsivo, crea un fenomeno unico per il lettore.12 Di solito, quando il lettore raggiunge la fine di un verso, la lettura si interrompe per un attimo. Questo non accade in questo poema bilingue, in cui l’ebraico si legge da destra a sinistra (escludendo le due occasioni in ogni stanza in cui un verso è ripetuto nella stessa lingua). Il lettore raramente distoglie lo sguardo dal poema, creando una sensazione unica di continuità. Il movimento uniforme creato da questa esperienza di lettura mette le due lingue sullo stesso livello. Le lingue, come veicolo semantico, costituiscono anche la materia prima del poema, e l’abilità del lettore bilingue di passare rapidamente da una lingua all’altra suggerisce la necessità di riconoscere che il lettore stesso appartiene a due distinti contesti referenziali. Quindi, l’esperienza di lettura di questo e altri poemi bilingui, di natura composita, da parte degli intellettuali del tempo si poteva assimilare alla propria vita, un’esistenza condotta in due comunità molto diverse, culturalmente e linguisticamente. Tuttavia, come accade per le due distinte lingue usate nel poema, queste esperienze di vita, per quanto diverse, venivano allo stesso tempo percepite come parti di un unico mondo.

1.
Ascoltate le mie parole
Donne sagge honeste e belle
Che unito è il mio canto14
Contra queste ciurme felle
Degli vecchi che a le stelle
Hanno innalzato la vostra vergogna
E quind’io vengo in vostro aiuto
Per diffendervi a ogni via.

 

2.
E tu, mia bellissima amica15
Che mi chiami a questa impresa
Che risvegli la mia rima
Delle donne alla difesa
Dammi aiuto alla contesa16
Contro parole infide
Che fanno con Dio contrasto

Et co’l mondo villania.

 

21.
Delle donne ebree
Che già furo al tempo antico
Virtuose e profetiche
A narrar no m’affatico
Che se mille lodi io dico
Loro son solo una goccia
Nel mare, quindi non andrò oltre

A laudar Rachel o Lia.17

 

22.
Che, nella rettitudine di Hadassah

Per sua gratia e sui virtuti
Haman fu dato alla morte18
Poi c’hävea gl’hebrei venduti
Anco fur con lui veduti
I suoi dieci figli su un albero19
E Mordechai20 divenne consigliere
Per sua21 causa in signoria.22

 

28.
In mezzo alle donne greche
Veggo Hippo casta e bella
Figlia di generali e filantropi
Per scampar da infamia fella
Patir volse morte, ond’ella
Gettò il proprio corpo23
Nell’acque amare
Per fuggir nome d’impia.

 

35.
Chi potrà trovare una donna di valore24
Che più in grado d’honor saglia
Che di saggezza o consiglio
Huomo certo non l’agguaglia
Che direti qui canaglia
Voi uomini chiamerò
Col valoroso nome di Naomi amara25
Con infamia et villania.

 

 

45.
Ed egli voltò lo sguardo
Alle più sagge e più belle
Finché foste considerate nullità
Sempre mai donne e donzelle
Che se tutte26 fosser felle
Bellissima è la mia donna
Lei è la colomba pura27
A onorarle bastaria.

 

 

50.
Il suo nome nasconderai
Canzon mia28 nostro amore
Ma il nome mio ricorda29
Fa palese e dallo fuore
Di pur via senza rossore
Yehudah, colui che mi scrive
Colui che al mondo ha avuto il compito
D’honorar la donna mia.

Note

Vorrei ringraziare Nicoletta da Ros per l’aiuto che mi ha dato con la traduzione di questo testo dall’inglese all’italiano, uno sforzo che ha richiesto precisione e sensibilità, Brunella Antomarini che ha creduto nell’importanza del questo progetto e il suo aiuto era indispensabile alla pubblicazione del testo in italiano. Infine è stato il Prof. Domenico Pietropaolo che mi ha introdotto al lavoro di de’ Sommi. Così ha cominciato il viaggio che mi ha portato a questo articolo.

 

1 Le date che riguardano la nascita e la morte di De’ Sommi sono discutibili e situano la durata della sua vita tra il 1525-27 e il 1590-92. Per uno studio sulle diverse date, vedere Lydia Pegna, Leone De’ Sommi, (Tesi non pubblicata, Università di Firenze, 1930) 7, 23. Io manterrò le date 1527-1592, che sono le più considerate nei moderni testi su De’ Sommi, come in Ahuva Belkin, ed., Leone De’ Sommi and the Performing Arts (Tel Aviv: Assaph Book Series, 1997), 1.
2 De’ Sommi è conosciuto come autore di Quattro dialoghi, tradotto in inglese da Allardyce Nicoll, “The Dialogues of Leone di Somi,” Appendice B in The Development of the Theatre: A Study of Theatrical Art from the Beginning to the Present Day, 4° edizione (New York: Harcourt, Barce and Company, 1957) 237-262. Una tesi di dottorato sul tema dei drammaturghi del Rinascimento, che includeva Leone De’ Sommi, fu presentata al Drama Centre dell’Università di Toronto da Anna Migliarisi sotto la supervisione del Prof. Domenico Pietropaolo. La commedia di De’ Sommi, Tsahoth B’dihuta D’Kiddushin (ca. 1550), Una Commedia sul Fidanzamento, è considerata la prima opera teatrale ebraica. Fu scoperta da J. Hayyim Schirmannn nel 1930 e da lui pubblicata successivamente in Ha’mahazeh ha’ivri ha-rishon: Tsahoth B’dihuta D’Kiddushin (The First Hebrew Play: A Comedy of Betrothal) (Gerusalemme, Sifei Tarshish, 1946). Recentemente è stata tradotta in inglese da Alfred S. Golding. A Comedy of Betrothal (Ottawa: Dovehouse Editions, 1988). Il poema “Magen Nashim” (In Difesa delle Donne) è pubblicato in appendice all’edizione a cura di J. Hayyim Schirmann, 149-167; 197-198. Schirmann ritiene che De’ Sommi abbia composto il poema tra il 1552 e il 1556 (Schirmann, 147). Quando mi riferisco alla nota di Schirmann, cito dal suo testo. Vorrei ringraziare Michael Gdalyovich per l’aiuto che mi ha dato con i riferimenti biblici e per i suoi numerosi suggerimenti che hanno arricchito la mia lettura del poema. torna su
3
Fu Francesco Gonzaga a non permettere l’istituzione del teatro indipendente richiesto da De’ Sommi nel 1567. Per ulteriori dettagli, vedere Donald Beecher e Massimo Ciavolella, “Introduction” in Beecher e Ciavolella, eds. The Three Sisters. (Ottawa: Dovehouse Editions, Inc, 1993). P.22. torna su
4 Nello stesso testo, De’ Sommi elogia Flaminia, l’attrice romana della Commedia dell’Arte, per la sua performance, che egli ritiene piena di versatilità (De’ Sommi in Nicoll, 252). De’ Sommi dedicò inoltre cinque poemi a Vincenza Armani, possibilmente la più importante rivale di Flaminia. Don Harran fa riferimento a questi poemi nel suo capitolo “Jewish Dramatists and Musicians in the Renaissance: Separate Activities, Common Aspirations” in Leone De’ Sommi and the Performing Arts, ed. Ahuva Belkin (Tel Aviv: Assaph Book Series, 1997) 27-47. 31. torna su
5
L’unica nota stonata in questo ragionamento è che, nel terzo dialogo di De’ Sommi, Veridico afferma che non si dovrebbe mai assegnare la parte di una donna ad un attore dalla voce profonda (Nicoll 251). Nonostante qui egli tratti temi relativi alla verosimiglianza, la sua affermazione suggerisce che De’ Sommi, nel suo lavoro di drammaturgo, non assumesse donne, nubili o sposate. torna su
6 De’ Sommi in Marotti, 18. torna su
7 In questa traduzione limitata ho riportato solo esempi da parti diverse del poema per presentare i passaggi centrali del discorso di De’ Sommi. torna su
8 Per un riassunto di questa polemica, vedere Schirmann 145-47.torna su
9 Schirmann sostiene che debba essere stato pubblicato prima del 1556, dato che quello è l’anno di pubblicazione di “Magen Nashim” scritto da De’ Sommi. Anche “Davar b’Ito” è un poema bilingue. torna su
10
Nella sua prefazione “Thus wrote Yehuda” egli scrive: “Lei è il motivo per cui tutto è dato/ senza di lei nessun/ uomo esisterebbe” (“For she is the reason all is given/ without her no/ men would be”, De’ Sommi in Schirmann 150). torna su
11
Un elemento che ho liberamente cambiato è la punteggiatura, nei passi in cui era necessario per mantenere il senso testuale. Nell’originale è l’uso delle due diverse lingue che spesso permette di distinguere i temi all’interno della strofa. In questo caso, dato che la traduzione è monolingue, le virgole sono necessarie per sottolineare il cambiamento tematico. torna su
12
Sappiamo che De’ Sommi voleva che il suo poema fosse letto e non solo ascoltato, come è chiaro nella sua allusione al vedere il testo pubblicato (prefazione, linee 22 e 23), “And this poem which I thought to naught/ Is brought out and sent to the eye [enfasi mia].” In ebraico, questo verso contiene un elegante gioco di parole tra ain (niente) e ayn (occhio).torna su
13 L’ebraico “Difesa” può anche essere letto come “il difensore di:” un doppio senso implicito nel titolo di De’ Sommi. torna su
14 Le parole “il mio canto” (chidati), che potrebbero essere state scelte per rimare con le parole dell’originale ebraico, si riferiscono anche ad un vasto numero di testi biblici, tra i quali I Proverbi e Cantico dei Cantici, che De’ Sommi inserisce nella struttura nel poema. Il termine “unito” richiama i quattro metodi di interpretazione biblica codificati nell’acronimo Pardes: P’shat (interpretazione semplice o lineare), remez (letteralmente, interpretazione simbolica o allegorica), drash (massima omiletica) e sod (letteralmente, interpretazione arcana o esoterica). Nella sua prefazione, De’ Sommi fa riferimento a due di questi termini, “arcana” e “allegorica” nel penultimo verso, che serve anche come chiave di interpretazione dell’intero poema bilingue. Questa prefazione finisce in questo modo: “Cantico dei Cantici/ Difesa delle donne/ Perché loro sono la fonte/ di tutti gli esseri/ senza di loro/ non ci sarebbero uomini/ e nella loro condotta/ si vede la creazione [creatura femminile] in san-/ cta sanctorum/ arcana e allegorica/ per la presenza di Dio” (“Song of Songs/ Defense of women/ For they are the reason/ for all beings/ without them/ there would be no men/ and in their example/ is the creation [female creature] seen in the ho-/ ly of holies/ secret and hint/ for the presence of God”, De’ Sommi in Schirmann, 150). Qui, la prima affermazione, che si riferisce alle donne come ragione primaria dell’esistenza degli uomini può essere interpretata come la p’shat (o interpretazione lineare), per il fatto che le donne sono una parte necessaria del ciclo della creazione, e infatti gli uomini non potrebbero esistere senza di loro.Tuttavia, questo verso ha molteplici significati. Nella sua nota, Schirmann mette in relazione “arcano” e “allegorico” con le decorazioni che pare abbiano raffigurato immagini di donne nel Sancta Sanctorum, l’area santa all’interno degli antichi templi ebraici (197). La presenza delle donne potrebbe anche essere un riferimento alla Shechinah, la Divina Presenza di Dio nel mondo, etimologicamente considerata femminile. Nell’interpretazione mistica, si ritiene che la Shechinah sia unificata con Dio nel Sabbath. Questa interpretazione, per la quale ringrazio Michael Gdalyovich, sarebbe avvalorata dal fatto che alla fine del secolo XVI il Cantico dei Cantici era considerato uno dei testi ebraici più esoterici e richiesti. Allo stesso tempo, questa complessa struttura di interpretazioni che De’ Sommi inserisce nel testo potrebbe rendere comprensibile la sua anticipazione dello scandalo formulata in una lettera ad Hanna Rieti, “Dammi aiuto alla contesa” (linea 13, stanza 2). Infatti il rabbino Jacob da Rieti disapprovò il poema, per il fatto che fondeva la lingua sacra (ebraico) e la lingua secolare (italiano). Scrisse una risposta poetica a De’ Sommi in Shiltei Hagiborim (Gli Scudi degli Eroi) (Ferrara, 1556). Per un’analisi di quest’opera, vedi Don Harran, “Jewish dramatists and Musicians in the Renaissance” in Belkin 27-47. 31. Ritornando alla prefazione di De’ Sommi, l’ultimo verso, che insinua che la donna è mistero e allegoria per “la presenza di Dio” (in ebraico ha-lu ‘ya), suggerisce in modo provocatorio che la corporeità delle donne racchiude l’essenza di Dio. Questa dissimulazione poetica preannuncia il riferimento che De’ Sommi fa alla sua amata alla fine del poema, nella stanza 49. Anche se non menziona il nome di questa donna, De’ Sommi suggerisce che il suo amore (chiamata amica nel poema) vive nella città “che è Bologna/ e colà risiede Dio [bo-lan-ya].” Da un lato, “colà risiede Dio,” nella traslitterazione ebraica, bo-lan-ya, crea una rima con Bologna, come ha notato Schirman (198). Ma, suggerendo che Dio risiede a Bologna, De’ Sommi potrebbe alludere alla santità della sua amata. torna su
15
Un riferimento a Hanna Rieti, a volte chiamata Anna Rieti, moglie di un caro amico di De’ Sommi, l’editore Reuben Sullam. Si dice che Hanna abbia convinto De’ Sommi a pubblicare quest’opera. torna su
16
Vedere i miei commenti più sopra circa la polemica a cui prese parte De’ Sommi. torna su
17
De’ Sommi suggerisce che Rachele e Lia, considerate le “madri fondatrici,” rappresenteranno tutte le donne ebraiche. De’ Sommi nomina altre due eroine ebraiche: Abigail, che ha evitato il massacro di David (stanza 23) e Giuditta, una figura apocrifa, che salvò la sua città ebraica decapitando Oloferne (stanza 24). torna su
18 De’ Sommi gioca sulla radice shasa (strappare o fare a pezzi) per creare un’immagine violenta che contrasta con la virtù e la grazia di Esther, che qui viene chiamata con il suo altro nome, Hadassah. torna su
19
Come punizione per il tentativo di tradimento ai danni del re Ahashueres, Hamen fu ucciso e i suoi figli vennero impiccati.torna su
20 Mordechai era parente di Esther. La storia secondo la quale salvarono gli ebrei di Persia sposando Esther al re Assuero è raccontata nel libro di Esther (Megillath Esther) e raccontata ogni anno durante la festa di Purim.torna su
21
Haman.torna su
22 Nelle stanze che seguono, 25-27, De’ Sommi scrive delle donne romane, includendo Lucrezia (che divenne pazza dopo aver subito violenza) e Tuccia (che dimostrò la sua castità e fu miracolosamente salvata). torna su
23
In questo punto c’è un gioco di parole sull’ebraico “tacharim” (rinunciato, proibito o distrutto), che è collegato etimologicamente al termine “cingere”, come nell’espressione “cinse il suo corpo con l’acqua”. Tuttavia, questo comporta un ulteriore significato implicito, perché “cingere” richiama il concetto di cintura, un’allusione alla verginità e all’onore. torna su
24 Tratto direttamente dai Proverbi.torna su
25
Nel libro di Ruth, dopo tutte le sue perdite, Naomi dice “chiamatemi Mara.” torna su
26 Sembra implicito che l’autore parli alle donne e alle nubili. torna su
27 Scritto nel linguaggio del Cantico dei Cantici.torna su
28
De’ Sommi attribuisce facoltà umane al poema. Curiosamente, utilizza l’italiano Canzon, che è femminile e gli permette di chiamare il poema canzon mia, invece dell’ebraico Shir, che è maschile. Questi due versi offrono anche una lettura alternativa: “Il suo nome tu nasconderai/ nel nostro poema d’amore.” torna su
29 Questa è una parola difficile da tradurre. De’ Sommi usa l’ebraico zichrei per rimare con un verso precedente. In ebraico, uomo è zachar, che rimanda anche al concetto di memoria, quindi, il poema riporta sia le parole di De’ Sommi (essere ricordato) e il suo amore (il suo membro, o la sua mascolinità). Forse questo doppio significato è un motivo per cui De’ Sommi si rivolge al poema antropomorfo pregandolo di non arrossire (stanza 50, linea 5). torna su